Metodologia
AppuntiRicerca sociale
Scrivere l'esperienza in educazione
La Metodologia di Nuto Revelli
Per fondare e arricchire la propria esperienza Pedagogia dei Genitori si collega al metodo della Pedagogia, identificata nelle sue indicazioni e proposte più attuali, in riferimento alla scrittura e alla documentazione dell'esperienza. Gli itinerari educativi dei genitori fanno parte del sapere dell'esperienza, la pedagogia popolare teorizzata da Jerome Bruner[1]. Occorre valorizzare questa pedagogia e raccoglierla con strumenti specifici che vengono analizzati in una serie di saggi[2], frutto di un percorso formativo riguardanti, riguardanti lo Scrivere l'esperienza in educazione. Gli itinerari descritti in questi libri ci danno la misura e il metodo con la quale raccogliere le narrazioni in educazione, in particolare quelle dei genitori. Questi testi giustificano la scelta di raccogliere l'esperienza come un sapere che non ha come obiettivo immediato la generalizzazione, quanto un sapere contestuale…Il vero educativo genitoriale ci aiuta a vedere qualcosa che era davanti ai nostri occhi e non vedevamo, partecipa alla partita della conoscenza che si gioca fra visibile e invisibile, quando senso ed essere coincidono[3].
In questo cammino i pedagogisti del gruppo di lavoro indicano come maestro e guida lo scrittore Nuto Revelli; il capitolo in cui viene richiamato il suo insegnamento è intitolato: Pazienza e buoni maestri.. Revelli, scrittore, saggista e ricercatore propone un metodo fondamentale a chi intende scrivere di educazione. Nella sua presentazione la pedagogista Emanuela Cocever sottolinea che, attraverso il metodo elaborato da Nuto Revelli, riusciamo a riscoprire il contatto con la realtà e la verità, per questa coincidenza fra senso ed essere che si ritrova nelle narrazioni degli ultimi. Egli propone il desiderio di trarre dalla propria esperienza un insegnamento per sé e gli altri.
Raccogliere le esperienze di vita (Filologia e morale)
Di particolare importanza, secondo la pedagogista bolognese, il senso politico sociale dell'opera di Revelli che sottolinea la necessità di portare nel mondo, con il valore che ha ai nostri occhi l'esperienza di persone con cui entriamo in contatto e che la società rende muta e quindi inesistente. Questo risultato lo si ottiene con un atteggiamento di grande rispetto che unisce la coerenza filologica all'impegno morale. Da Revelli si impara che: nel raccogliere e metter in forma queste esperienze conviene esser attivi solo quanto basta a farle emergere.
Il metodo ricavabile dall'attività di ricercatore di Nuto Revelli ha forte rilevanza formativa soprattutto per chi lo adotta. La spinta a raccogliere le testimonianze deve partire da un desiderio e da un imperativo morale personale, con la consapevolezza che si imposta di un rapporto umano che deve rimanere tale durante tutto l'arco della ricerca e oltre. La persona umana non si studia in astratto, per dovere o per fare carriera o solo per studio, occorre impegnarsi in una relazione dalla quale emerge una crescita reciproca. Occorre mettersi in gioco.
Revelli inizia a raccogliere testimonianze per sé, per liberarsi dall'avvelenamento morale che la partecipazione alla guerra ha creato in lui: Pensavo di non riuscire a credere in niente e in nessuno. Dopo la partecipazione alla Resistenza avverte un bisogno quasi di liberazione che ho pensato di soddisfare col rivivere quelle esperienze terribili si impegna a raccogliere le testimonianze sue e dei compagni: Perchè le nostre esperienze servissero a qualcosa…facevo un lavoro che mi stava a cuore, facevo le ricerche perchè interessavano me e non con l'ottica di dire faccio un libro. …Ho raccolto le testimonianze passando di casa in casa non in modo meccanico ma in punta di piedi con grande rispetto per quel mondo che avvicinavo.
L'essenza del metodo: rispetto e partecipazione
Nelle indicazioni proposte nel libro Scrivere l'esperienza in educazione Revelli chiarisce agli interlocutori, pedagogisti, educatori, assistenti sociali, tutto il collettivo di lavoro che l'ha chiamato come maestro il metodo che l'ha condotto all'elaborazione dei libri di testimonianze: Da autodidatta mi sono inventato un metodo di ricerca, partendo proprio senza sapere molto, poi l'ho modificato, ho cercato di migliorarlo: questo vale per il dialogo vero e proprio che conducevo con loro, per la trascrizione delle testimonianze, per i tagli da operare, per tutto.
Un chiodo avevo fisso in testa: rispettare la persona, l'interlocutore o l'interlocutrice. Il rispetto[4]: molta umiltà nell'ascoltare e la percezione che imparavo moltissimo, ancora una volta cercavo di capire e di uscire dalla mia ignoranza[5]. Più andavo avanti nella mia ricerca e più capivo che dovevo esser prudente e mai sentenziare: umiltà, rispetto e prudenza.
Parlando dell'approccio coi testimoni devo dire subito che le persone che ascoltavo mi avevano accettato (arrivavo sempre presentato da qualcuno che ci conosceva entrambe e che mi aveva presentato). Per entrare in una casa contadina bisogna offrire delle garanzie: nel preambolo spiegavo tutta la mia ricerca che l'avrei pubblicata, che una parte della testimonianza poteva finire nel libro magari ridimensionata (rispettando il testo parlato, ma magari tagliato nelle parti per ragioni di spazio ) con questo discorso garantivo che non avrei tradito i miei interlocutori. Una delle cose che mi sentivo dire da loro era: Ma come lei arriva da Cuneo ci hanno detto che era ufficiale degli alpini quindi uno che ha studiato cosa vuole da noi ignoranti? Allora a spiegare con pazienza:Io per venire da lei ho fatto tanti chilometri perchéso che lei può insegnarmi delle cose che non so, quindi sia gentile, mi aiuti!
Così iniziava il rapporto e poi cresceva Io cercavo di fare meno domande possibili; ogni tanto con calma suggerivo un tema ma volevo che il discorso uscisse il più libero possibile.
Nella trascrizione (ogni colloquio durava in media tre, quattro ore, e ne impiegavo nove -dieci per trascriverlo) mettevo tutto: il mio preambolo, che era sempre uguale, le mie osservazioni, tutti gli interventi. E così cercavo di individuare dove avevo sbagliato, dove avevo tagliato il discorso del mio interlocutore, dove mi ero lasciato prendere dall'urgenza del discorso e ogni testimonianza la rivivevo criticamente, per capire, per modificare. Di nuovo l'importanza del rispetto nei confronti dell'interlocutore, nel condurre le testimonianze: non essere superficiali, crudi, crudeli, non tormentare l'interlocutore, né pretendere da lui quello che uno vorrebbe ascoltare. E" difficile saper ascoltare, significa non tagliare la parola, lasciare che il discorso cresca. I miei testimoni che all'inizio erano prudenti e riservati poi andavano in orbita, dicevano delle cose più impegnative: io mentre li ascoltavo riflettevo e mi dicevo: Questo lo tolgo perché rispetto questa gente. A me interessava acquisire questi discorsi mi immedesimavo nell'interlocutore e questo mi diceva più di quanto mi avrebbe voluto dire, ma sul piano del rispetto mi dicevo: Queste cose non le faccio diventare pubbliche. Individuare questo puntiglio rientrava nel mio compito, nell'impegno di chi chiede agli altri Mi dica pure tutto, poi spettava a me giudicare sul piano del rispetto.
Forse merita qualche considerazione il registratore: all'inizio mi ero messo in testa che il registratore, essendo una macchina, disturbasse il rapporto tra me e l'interlocutore, intimidisse anche la persona che deve parlare . Quando ho iniziato la ricerca per Il mondo dei vinti mi sono convinto che invece era uno strumento formidabile che, invece di intimidire, responsabilizzava l'interlocutore, proprio perché lui sapeva che le cose che diceva restavano impresse.
Uscito il libro, partivo e (magari aiutato dai miei mediatori) portavo il libro a tutti i testimoni poi dopo che li avevano letti, tornavo a trovarli perché mi interessavano i commenti. Erano contenti; ho questa frase nelle orecchie: Con il suo libro finalmente ci hanno ri-conosciuto. Loro erano convinti che, entrati nel libro, forse tanti loro problemi sarebbero stati riconosciuti, apprezzati e si sarebbero risolti.
La partecipazione di chi ascolta le testimonianze
Io partecipo intensamente alle testimonianze, partecipo emotivamente, ma bisogna farlo: a mio giudizio non si può star lì come una statua. Alcuni specialisti che lavorano sulle fonti orali dicono che chi raccoglie le testimonianze non deve smascherarsi mai: io non sono di quell'idea. L'interlocutore ha già una macchina davanti (il registratore) se si trova una persona imbalsamata, che non fa una piega, un giudice, si sente a disagio. Io partecipavo emotivamente all'intervista e facevo sentire a queste persone quello che non capivo e non condividevo. Ascoltavo con grande interesse seguivo la testimonianza di 3-4 ore, poi quando era finita dicevo la mia sulle cose che mi avevano ferito, che mi avevano colpito di più che mi sembravano sbagliate. Io ero disposto a concedere tutto a quel mondo a cui mi avvicinavo, ero volontario in questo mio lavoro dovevo dar per scontato che avrei ascoltato di tutto. Quando le cose mi sembravano ingiuste o sbagliate, dopo la testimonianza dicevo: E" finita. Adesso dico la mia su quel punto che non condivido e nasceva il discorso[6] Ma partecipavo, bisogna partecipare: bisogna che l'interlocutore senta ilo calore di chi gli sta di fronte.
L'approccio alla persona
Bisogna andare in punta di piedi. A mio giudizio bisogna che l'interlocutore senta che ha di fronte una persona seria che vuol sapere, che sa ascoltare: non è che finge di ascoltare, ascolta perché ha interesse per le cose che vengono dette. Un tranello in cui non bisogna cadere è quello di far finta di essere quello che uno non è: quando andavo lì ero quello che sono, con i miei vestiti e la mia macchina Solo così la diffidenza sparisce lentamente. Il punto fondamentale è capirsi. Io ero lì per aiutarli ma fino ad un certo punto; loro aiutavano me quindi io parlavo anche delle cose della mia famiglia, pensavo fosse una cosa normale E poi crederci, magari un po" ingenuamente, credendo di fare cose utili.
Nuto Revelli e a metodologia storico culturale
Raccogliere una testimonianza non è un"azione passiva, è un rapporto nel quale ci si mette in gioco, personalmente. Alla base vi è il rispetto che si traduce in un ascolto che non è passivo è proprio questo atteggiamento che stimola la persona a parlare, a esprimersi, a raccontare, a proporre tutta se stessa nella narrazione. Alla base della metodologia di Pedagogia dei Genitori non vi è solo Nuto Revelli vi è la metodologia storico culturale di Lev Semenovic Vygotskij.
Ogni persona ha una cultura, una personalità, un modo di agire e di pensare che lo differenza da tutti gli altri, frutto della sua storia personale, dei rapporti interpersonali che intreccia, dell'ambito storico che sta vivendo. Ne consegue che questa specificità si traduce in quello che racconta e in come racconta (lo stile è l'uomo). Più vi è interesse, più vi è rispetto e partecipazione da parte di ci raccoglie, maggiormente chi racconta esprime se stesso è autentico e lo è anche la narrazione. Viene messo in situazione positiva. Fa uscire la sua logica le sue scelte la sua specificità Ognuno ha fatto scelte di vita, ha una morale e delle convinzioni e il racconto rispecchia questa specificità e queste scelte[7]. In fondo raccogliere testimonianze è un rapporto nel quale occorre crescere reciprocamente e questo avviene se ciascuno è se stesso nel rapporto, da una parte la partecipazione, dall'altra la libertà di esprimere se stessi nei contenuti e nelle modalità. Se la persona si sente capita profondamente profondamente accettata regala se stessa il che nella narrazione significa modellare il racconto secondo la sua personalità scegliere gli argomenti esporre quelli che a suo parere sono i più importanti, metterli secondo una logica che ritiene necessaria, attribuire loro uno stile che essi reputano più acconcio.
[1] J.S.BRUNER, La psicologia popolare come strumento della cultura, in: J.S.B., La ricerca del significato, Boringhieri, Torino1992, pagg. 46-72; Idem: Pedagogia popolare, in: La cultura dell'educazione, Feltrinelli, Milano 1996, pagg. 57-78..
[2] E. COCEVER A.CHIANTERA (cura di), Scrivere l'esperienza in educazione, CLUEB, Bologna 1996; A. CANEVARO A.CHIANTERA, Scrivere di educazione, Carocci, Roma 2000.
[3] Significativamente Bruner pone la narrazione come base per la ricerca del significato dell'azione umana, vedi Per uno studio corretto dell'uomo, in J.S.BRUNER, La ricerca del significato, Boringhieri, Torino 1990.
[4] Sul valore del rispetto occorre citare il libro di R. Sennet Rispetto, Feltrinelli, Milano e P. Woodruff, Reverence a Forgotten Virtue Oxford University Press, Oxford 2001. Revelli giustifica, valida il sapere dell'esperienza, quello radicato nello spazio e nel tempo, nelle situazioni concrete che orientano la persona che legano la conoscenza all'agire morale.
[5] Il concetto di ignoranza proposto da Revelli è fondamentale nell'epistemologia delle scienze umane, per tutti coloro che fanno ricerca e si occupano di rapporti umani. Ignoranza non tanto legata al mondo della conoscenza teorica o libresca, quanto riferita al senso da dare alla vita e tutto quello che facciamo, riuscire a dare risposte alle nostre relazioni e alle nostre azioni e si collega alle indicazioni di Bruner, raccolte nel libro La ricerca del significato riguardanti il valore che le scienze dell'uomo devono attribuire al significato delle azioni umane e non attardarsi in bizantinismi classificatori
N. Revelli parla di senso morale senza il quale nessuna ricerca nel campo dei rapporti umani ha valore. Si tratta di impegno attivo di mettersi in gioco, senza questo atteggiamento partecipativo la ricerca in campo umano diventa simile a quella dell'entomologia che classifica gli insetti attraverso una lente ingrandimento, osservarndoli dall'alto della superiorità conoscitivo - teorica dell'uomo: "Nel corso di quell'esperienza avevo dovuto lottare contro la mia ignoranza che all'inizio era catastrofica: come ufficiale appartenevo alla categoria dei cosiddetti colti, avevo conseguito un titolo di studi, avevo frequentato un"accademia militare quindi ero considerato colto, ma la mia ignoranza era spaventosa. Dei miei alpini una parte aveva frequentato due anni di scuola elementare (un"elementare vissuta in montagna) quelli che avevano un titolo di studio al massimo avevano la quinta elementare. Quando parlo di ignoranza intendo andare ad ammazzare e farsi ammazzare senza sapere perché. credetemi era una cosa spaventosa.
Quindi ignoranza come assenza di consapevolezza e responsabilità. Revelli rivaluta il sapere dell'esperienza, quello radicato nello spazio e nel tempo, nelle situazioni concrete che orientano la persona, che legano la conoscenza all'agire morale, che attribuiscono o restituiscono all'uomo il senso delle sue azioni inserendolo nella ricerca di senso individuale e collettiva.
[6] Revelli sottolinea che il dialogo, necessario in un rapporto nasce dopo la testimonianza. Prima occorre dare spazio: chi parla, almeno una volta nella vita, deve sentirsi protagonista e avere tutto lo spazio che gli è necessario, spazio temporale ma anche spazio umano nel cuore e nell'attenzione di chi ascolta. Vi è la dialettica sottile dell'ascolto empatico fatta di sguardi di gesti in un linguaggio non verbale che l'interlocutore coglie benissimo. Chi parla teme il giudizio, teme il dileggio, deve esser sicuro che chi ha davanti lo accoglierà. Ecco perché l'atteggiamento di chi ascolta deve esser anche serio e severo, non come giudizio ma come consapevolezza che quello che ascolta è estremamente importante. Ecco perché chi raccoglie deve parlare di sé del perché chiede una storia di vita e dare un pezzetto di sé della sua storia come garanzia che il rapporto è paritario, biunivoco. Vige nella raccolta di narrazioni secondo la metodologia di Pedagogia dei genitori l'indicazione di Spinoza, sottolineata più volte da Vygotskij: Non ridere, non piangere, ma cercare di capire.
[7] In un certo senso raccogliere una storia di vita un itinerario educativo è accogliere la persona così com"è senza rinunciare ad esser se stessi, a dire la propria, ma dopo la raccolta della testimonianza, come sottolinea Nuto Revelli. Prima vi è l'accoglienza, lo spazio e poi il confronto ma lo stile che in ogni caso domina il rapporto il patto biografico è il rispetto, che non vuol dire passività. Anzi si è attivi nel momento in cui si mette in grado una persona di far uscire se stessa si è attivi quando si interviene, ma dopo il racconto.